Roberto Gremmo, L’ebraismo armato. L'”Irgun Zvai Leumi” e gli attentati antibritannici in Italia (1946-1948), Storia Ribelle, Biella 2009
Nella notte fra il 30 e il 31 ottobre 1946 due valige di dinamite esplosero sul portone principale dell’ambasciata britannica di Roma, in via XX Settembre, producendo un ampio squarcio sulla facciata dell’edificio. Nella seduta del Consiglio dei Ministri che ebbe luogo il giorno successivo, l’on. Emilio Sereni, ministro dell’Assistenza Postbellica, attribuì l’attentato ad “una organizzazione fascista italiana che aveva collegamento con organizzazioni fasciste palestinesi”.
Si trattava di un tentativo di depistaggio, che mirava ad allontanare i sospetti dai veri autori dell’attentato: i terroristi ebrei dell‘Irgun Zvai Leumi.
Il ministro Sereni non solo era cognato di Ada Ascarelli, attiva responsabile per l’Italia di una rete sionista (Mossad le aliyà bet) che organizzava l’invio di ebrei dall’Italia alla Palestina, ma era anche un prestigioso esponente del Partito Comunista Italiano, che appoggiava in maniera decisa la causa sionista. Il quotidiano del PCI “aveva solo parole di aperta simpatia per quelli che definiva partigiani ebrei sostenendoli a spada tratta anche quando facevano esplodere il quartier generale britannico di Gerusalemme, una delle azioni terroristiche più spettacolari e dirompenti” (p. 23). Infatti la posizione filosionista del PCI (conseguente all’obbedienza del partito agli ordini di Stalin, che si era illuso di poter utilizzare gl’invasori della Palestina contro l’imperialismo britannico) veniva giustificata dall’ “Unità” del 16 maggio 1948 con una tesi che Sergio Segre formulava nei termini seguenti: “La costituzione di uno Stato ebraico progredito economicamente e politicamente avrebbe rafforzato le forze democratico popolari in tutti i paesi vicini” (p. 118). Stretti legami d’altronde unirono l’apparato militare clandestino del PCI al terrorismo sionista, almeno fino al 1953, quando l’URSS, in seguito all’affare dei medici ebrei e all’attentato terroristico contro la rappresentanza sovietica a Tel Aviv, ruppe finalmente le relazioni diplomatiche col regime sionista. Ancora nel febbraio 1949, infatti, in un appartamento milanese utilizzato dalla “Volante Rossa” viene trovata fra l’altro “una macchina per scrivere con caratteri ebraici”, mentre a Roma – secondo una nota informativa dei servizi segreti italiani – “le spese che quotidianamente incontra l’IRGUN di Via Varese 31 (…) vengono in parte sostenute dal P.C.”. Anche il controspionaggio della Marina segnalava che “numerosi ebrei, membri dell’IRGUN, tramite l’ambasciata russa in Italia, ricevono soccorsi in denaro ed agevolazioni di ogni genere da personalità comuniste italiane”.
Le attività terroristiche dell’Irgun potevano contare, secondo i rapporti stilati dai funzionari di polizia, sulla “ostinata omertà” della massa di diecimila ebrei che si erano riversati in Italia “con l’intendimento di emigrare in America e di trasferirsi clandestinamente in Palestina”. Ospitati in diversi campi profughi, questi rifugiati vivevano “per la maggior parte dediti all’ozio usufruendo di un vitto abbondante fornito a cura dell’U.N.R.R.A. e di numerosi generi di conforto” e praticando un “attivo commercio di borsa nera”, quando non erano “specializzati nel furto con destrezza”.
Una vera e propria centrale terroristica si era installata a Torino, da dove furono inviate lettere esplosive a personalità britanniche che rivestivano cariche ufficiali fuori dall’Inghilterra. Per fiancheggiare l’attività clandestina ebraica e difendere le azioni dell’Irgun, venne fondato a Firenze un giornale che recava il titolo “L’Idea Sionistica” e il sottotitolo “La risposta dei patrioti ebrei”; lo dirigeva Corrado Tedeschi, che in seguito avrebbe pubblicato un periodico di enigmistica e avrebbe anche tentato la carriera parlamentare. Ma a revocare l’autorizzazione al periodico diretto da Tedeschi fu un giovane sottosegretario del Ministero degl’Interni di nome Giulio Andreotti.
Le ultime operazioni compiute in Italia dall’ebraismo armato, a parte una serie di rapine effettuate nel milanese da “elementi comunisti” legati al sionismo, sono gli attentati del 1949 contro alcune navi arabe in Liguria. Quanto meno, è a tali episodi che si arresta l’indagine di Roberto Gremmo, il quale conclude però avvertendo il lettore circa “l’esistenza d’un occulto legame dell’eversione politica italiana con ignoti fiancheggiatori in Israele. Un legame solido e robusto, che non si è mai spezzato”.